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L’America a colori: sui politici emergenti, di destra e di sinistra, ma comunque non bianchi

01/08/2012

Per la prima volta nel 2011, la maggioranza di bambini nati in America non era composta di bianchi, bensì dell’insieme delle minoranze etniche. Una rivoluzione demografica, questa, di cui comprenderemo l’impatto reale tra venti-trent’anni. Ma i primi sentori di come l’America sta cambiando in termini di composizione razziale si percepiscono già. Persino a livello della politica nazionale.

Questa settimana, il comitato che sta lavorando alla preparazione della convention democratica che si terrà a Charlotte a inizio settembre ha annunciato che sarà il giovane sindaco di San Antonio, Texas, Julian Castro, a fare il discorso d’apertura durante i lavori del partito (il cosiddetto “keynote speech”). Il trentasettenne Castro è americano di origine messicana e il sindaco più giovane di una delle cinquanta maggiori città americane (è al proprio secondo mandato, al quale è stato rieletto con quasi il 90% dei voti). Laureato di Harvard e Stanford, Castro è considerato da molti all’interno del Partito Democratico come una stella emergente, che può portare rinnovamento tra le fila del partito (va ricordato che il Presidente Barack Obama cominciò la propria fulminante ascesa politica proprio facendo il keynote speech alla convention dell’asinello del 2004). L’accresciuta popolarità di Castro rappresenta una buona notizia per i democratici, i quali, dopo aver scovato in Illinois il giovane senatore Obama, hanno fatto più fatica dei colleghi repubblicani a reclutare nuove leve.

Il GOP, intanto, continua a sfoderare nomi nuovi, molti dei quali appartengono anch’essi a minoranze etniche (e si sono fatti notare anche grazie al movimento conservatore del Tea Party). L’ultimo a livello cronologico è quello di Ted Cruz, che ha vinto martedì a sorpresa le primarie del Texas per il Senato e, a questo punto, sembra avere la strada spianata per Washington. Di origine cubana, Cruz va aggiungersi a una lista piuttosto lunga di giovani promesse repubblicane, come ad esempio Marco Rubio, Senatore della Florida e anch’egli cubano, che parlerà alla convention repubblicana di Tampa a fine agosto. E poi i governatori Bobby Jindal (Louisiana), Susana Martinez (New Mexico), Nikki Haley (South Carolina) e Brian Sandoval (Nevada). Come Cruz e Rubio, Martinez e Sandoval sono “ispanici”, ovvero di origini centro e sud americane, mentre Jindal e Haley sono figli di immigrati indiani.

Sono probabilmente questi i protagonisti della politica americana dei prossimi vent’anni. In che direzione porteranno il paese è difficile a dirsi (e come accennato, in casa repubblicana molti di essi hanno mostrato tendenze estremamente conservatrici). Quello che è certo, però, è che quando si discute del “sogno americano”, loro sanno di cosa parlano, avendolo vissuto sulla propria pelle. Una ventata di freschezza, quindi, rispetto a candidati come Mitt Romney, nato nel privilegio e che si batte per difendere gli interessi dei privilegiati come lui (un’analisi di Brookings Institution pubblicata questa settimana dimostra come il piano fiscale proposto dal governatore del Massachusetts finirebbe per alzare le tasse sui contribuenti meno abbienti per diminuirle a quelli più ricchi).

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